Le persone con disabilità vivono spesso situazioni di esclusione e di svantaggio nella ricerca di occupazione e sul posto di lavoro.
Ogni volta che la persona con disabilità o un suo familiare riceve un trattamento differente senza giustificazione, subisce una discriminazione e una violazione della normativa sui diritti umani, prima fra tutte la Convenzione ONU sulla promozione e protezione dei diritti e delle dignità delle persone con disabilità secondo cui “per discriminazione fondata sulla disabilità si intende qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo. Essa include ogni forma di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole”.
Non essere assunti perché persona con disabilità rispetto ad un’altra candidata che ha un curriculum e un bagaglio formativo e professionale inferiore è atto discriminatorio. Non promuovere una donna con disabilità che ha tutti i requisiti richiesti per ottenere la progressione di carriera e preferirle il collega uomo è atto discriminatorio (in questo caso la discriminazione è doppia: discriminata perché donna e perché persona con disabilità).
Sono altresì considerate discriminazioni le «molestie ovvero quei comportamenti indesiderati (…) aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di un persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo» (d. lgs. 216/2003 art. 2, 3° co.).
Anche il mobbing rientra nel concetto di discriminazione. Esso viene normalmente definito una ”violenza psicologica nell’ambito del rapporto di lavoro caratterizzata da reiterazione e da intento persecutorio, esercitata dal datore di lavoro direttamente, o indirettamente per il tramite di persone terze anche non dipendenti”.