Il Colosseo riapre i battenti quasi venticinque anni dopo “Il Gladiatore”. Stavolta, l’eroe dell’arena è Paul Mescal nei panni di Annone, venduto come schiavo dopo l’invasione della Numidia.
Questa riapertura del Colosseo cinematografico da parte di Ridley Scott appare del tutto superflua. La scarsa ispirazione della produzione è evidente già dal titolo minimalista, che si limita ad aggiungere un “2” a “Il Gladiatore”, ricordando i sequel a basso budget dei film di fantascienza degli anni ’80. Il trailer conferma l’impressione di un film chiassoso e privo di sostanza, in cui l’etichetta di “puro intrattenimento” non giustifica la deriva trash a cui si assiste impotenti in troppe occasioni.
“Il Gladiatore 2” manca completamente della solennità epica necessaria per essere all’altezza del primo capitolo. Non ci sono dialoghi memorabili; al contrario, si riciclano occasionalmente le citazioni di Massimo Decimo per solleticare la nostalgia dello spettatore, quel tanto che basta per non fargli abbandonare la sala. Mancano scene potenzialmente antologiche, sempre smorzate da uno svolgimento frenetico che penalizza il già scarso carisma degli attori. Nemmeno la colonna sonora contribuisce a creare una qualche sacralità cinematografica.
Sin dal titolo, così apertamente tributario al predecessore, è chiaro che l’alibi del “non fare confronti” con il film con Crowe e Phoenix non regge: la regia, invece, sfrutta questo legame nostalgico per costruire quel poco di mordente che il protagonista Mescal guadagna rivelando, a circa metà film, il suo vero nome. Un colpo di scena tutt’altro che imprevisto e già spoilerato prima dell’uscita del film. Senza contare la ripresa degli stessi snodi narrativi (la deportazione come schiavo, le visite di Lucilla, il tentativo di congiura) del primo capitolo, troppo evidenti per una qualsiasi pretesa di autonomia.
Nemmeno l’alibi della “licenza poetica” è ammissibile, perché qui non si tratta di appellarsi a un’attendibilità storica che nemmeno il primo “Gladiatore” aveva. Si tratta, invece, di capire se, in questa libera interpretazione della Roma antica, gli elementi dell’epica siano comunque coerenti tra loro. Dopo combattimenti più o meno verosimili contro umani e altre creature, tra cui scimmie urlatrici geneticamente modificate, squali e rinoceronti sauropodi, il nuovo gladiatore ottiene la sua sfida contro il generale Acacio, interpretato da Pedro Pascal.
Peccato, perché l’inizio non è affatto male: la battaglia iniziale con triremi romane all’assalto e trabucchi è davvero ben fatta e sembra promettere tutt’altro, almeno a livello visivo. Ma anche qui si rimane delusi, perché la CGI offerta dopo non meraviglia e, se gli squali nel Colosseo sono già poco credibili, gli squali in una CGI fatta male lo sono ancora meno.
Ultima nota negativa per un cast che non può che far rimpiangere Phoenix, Crowe e Richard Harris, sebbene la regia non aiuti gli attori a mostrare una qualche profondità. Oltre all’assenza di carisma di Mescal, pesa anche lo scarso contributo di una Connie Nielsen meno pungente e troppo piagnucolosa, mentre quello di Jacobi è poco più di un cameo. Si distinguono solo Joseph Quinn nei panni di Geta, inevitabile erede di Commodo, e il solito Denzel Washington, troppo più bravo degli altri a tenere su la baracca.
In conclusione, “Il Gladiatore 2” è un film all’insegna del fracasso: narrativo, visivo, storico. Sacrifica persino la già caricaturale epica del primo capitolo in favore dello spettacolo, anche a costo di sfociare nel trash. Non c’è nulla di male in questa operazione, sia chiaro, ma rimane misterioso perché non relegare questa anarchia narrativa in un film autonomo, ambientato altrove sia nello spazio che nel tempo, anziché partorire un sequel che fa apparire un capolavoro anche l’imperfetto primo “Gladiatore”.